Mostre Personali

1976 Villasanta - Circolo Amici dell'Arte


1979 Verano Brianza - Galleria la Filanda


1981 Seregno - Galleria San Marco

RECENSIONE CRITICA : Franco Cajani 

Alcune tele di valide dimensioni, riempiono la sala principale, dando un senso di continuità e di rigore formale all'esposizione nell'ambito di un discorso pregnante di informalità. Una pittura decisamente densa di memoria e di cromatismo. L'immaginazione visiva di Triacca pare mielata e nel contempo lirica, di quel lirismo nordico, plastico e musicale di Pound...

Bianco sulla juta grezza, orizzonti di speranze, sensazioni intense ed elevate in questi frammenti eloquenti di Triacca, dove tutto sta al di là del rigo del colore stesso con quell'impegno che trattiene la figurazione e nella pennellata densa la supera. In questa mostra desta senza dubbio l'attenzione distratta del fruitore e del passante con la sua pittura suadente e sobria che fagocita remote civiltà e architetture del passato, così come il poeta svela sempre in una luce imprevista la quotidianità così nota a tutti da diventare encomio e plauso.


1984 Seregno - Galleria S.Rocco

RECENSIONE CRITICA: Alberto Crespi

Tra i giovani operatori artistici che lavorano concedendo lo spazio adeguato alla ricerca, Antonio Triacca, merita certamente attenzione: per l'accentuato taglio progettuale dell'opera che fa vivere ipotesi disegnative alternative nel contesto stesso della tela. Dove la figura, nell'attività più recente, si ritaglia un proprio spazio abitativo all'interno di tracce geometriche generanti le dimensioni architettoniche di interni-esterni proprie della pittura di racconto.

Sottende al lavoro presentato, una rilettura dell'immagine neofigurativa milanese degli anni Sessanta, anche in chiave di citazione omaggio ai protagtonisti i cui nomi appaiono nel quadro.

Buono il senso del colore e la qualità disegnativa che risente favorevolmente dell'impostazione del lavoro incisorio effettuato.


1990 Seregno - Galleria Civica Ezio Mariani

"Dentro il Paesaggio"

Recensione Critica: Elena Pontiggia

Antonio Triacca si riallaccia a una tradizione pittorica, a una scelta espressiva che in Lombardia ha avuto ascendenze alte e vaste origini: a quella nuova figurazione, cioè, che partendo dall'esperienza informale ha tentato di ricostruire soggetti e immagini, pur mantenendo la libertà e la disposizione linguistica dell'informale. E dunque colore grondante e eccedenza materica, disordine dei segni e nervosismo dei perimetri, narrazione condotta per allusioni più che per descrizioni.

... I suoi lavori, peraltro, esprimono una mitologia inconsueta e visionaria: paesaggi indagati sotto pelle, immagini nate da suggestioni tiepolosche e pensate secondo scorci prospettici, volti che emergono dal colore e si raggrumano in ombre.


Anche il colore partecipa di questa dimensione mentale e si accende di sfumature particolari, si impenna, si addolcisce. lo sguardo non è più gettato sulle cose. Va al di sotto (o al di sopra) di esse.


1991 Milano - Galleria AZ

"Frammenti di terre e di cieli"

Recensione Critica: Alberto Crespi

I dipinti di Antonio Triacca impaginano con frequenza significativi frammenti iconici quasi fossero strappi d'affresco. E della pittura a fresco ritengono tutta l'immediatezza e quel sapore di "impromptu", nell'accezione musicologica, cui sottendono precise coordinate strutturali: All'idea di frammento corrisponde inoltre, a livello concettuale ed esecutivo, un'apprezzabile discrezione nell'affrontare le vie della pittura, che si configura in un atteggiamento saggiamente critico nei confronti di ogni accentuazione in termini espressionistici del lavoro. E' ciò che fa da filtro ad un senso del colore e a una forte gestualità certamente innati. Cosicché il gesto subisce positivamente un sistema di controlli e il colore trova modo di decantarsi da molte impurità. Gli esiti pittorici sono di bella freschezza. L'iconologia, mediata per un numero non grande di temi, ha la possibilità di svilupparsi in coerenza.


1991 Sesto San Giovanni - Centro culturale Sergio Valmaggi

"Triangoli di cielo"

Recensione Critica: Francesca Contini

Il triangolo è una figura geometrica perfetta, stabile, nei quadri di Antonio Triacca questa forma è ricorrente. Può essere un elemento architettonico, una costruzione elementare e simbolica. In origine stabile viene rappresentato capovolto, poggiante su di un vertice e, quindi, in equilibrio precario. In esso appaiono dei corpi umani, contenuti nella forma, quasi costretti in essa. Ma il triangolo può essere anche creato dalle pendici scoscese di due montagne e diventare cielo, apparendo come una visione dietro le chine.

Queste linee oblique rappresentano il confine, ma nello stesso momento la vicinanza, del cielo e della terra. Tutto ciò è perfettamente visibile, quasi una sensazione tattile, oltre che dell'occhio. Quelli che ci presenta il pittore sono frammenti di natura, singole visioni.

Compare anche un classico elemento dell'architettura: la colonna: Questa viene accompagnata al suo tradizionale compagno, un eroico San Sebastiano che mostra il suo coraggio anche nel dolore, un dolore che gli viene inflitto dal mondo esterno e che l'eroe contiene con dignità. La figura quando compare. ha sempre qualcosa di simile a una costrizione da cui cerca di liberarsi. E' contenuta, non è mai completamente libera.

Libera è, invece, la natura, rigogliosa, con i suoi fili d'erba colorati che formano un corpo quasi materico sotto il quale si indovina la terra. Per questo non si può dire che la pittura di Triacca sia astratta; pur avendo grandi connotazioni geometriche, queste non sono mai rigidamente tracciate. Così l'artista opera una conciliazione tra la pittura contemporanea e l'elemento naturale, o umano, che è reso con effetto nei suoi quadri e può essere ritrovata dal pubblico.


1993 Milano - Centro Culturale San Fedele Spazio Arte

"Una scala per il Cielo" 

Recensione Critica: Marina De Stasio

 Nella pittura di Antonio Triacca la cupola e la volta celeste non sono l'una imitazione dell'altra, sono una cosa sola, s'identificano in una cupola-cielo aperta, squadernata, distesa in piano e riportata in verticale, verso cui, in alcuni dipinti, s'inerpica la terra: un prato - direbbe Dante - dipinto di "mirabil primavera".

In queste ultime opere di Triacca lo spazio naturale e l'architettura, il presente il passato della pittura s'incontrano in una sintesi immediata e piena di freschezza: una nota di azzurro sfonda la cupola-cielo rinviando a un altrove, a uno spazio diverso e senza limiti; una figura appare come risucchiata, chiamata a levarsi in alto, sul punto di cogliere l'insperata possibilità di involarsi, incontro alla libertà.

L'architettura dell'universo è quindi bellezza e armonia, illuminata dal chiarore gemmeo della luna, ornata dalle tinte tenere di glicini, rose e primule, ma è anche un limite, una dorata prigione da cui sogna di volar via.


1993 Carate Brianza - Villa Cusani

Presentazione dell'autore stesso: Antonio Triacca

"accadimenti"

Sono solito stendere la tela e inchiodarla alla parete: la frontalità e la verticalità del supporto mi riportano alla pittura parietale evocando luoghi e condizioni dove il dipingere aveva una funzione chiara.

Lo sguardo cerca riferimenti, trame, ordini compositivi e rimanda la memoria ad antiche esperienze, a gesti immutati e ad immagini che  sono già state consumate, vissute e raccontate in un percorso dove la storia ha lasciato le sue tracce.

La mano ripercorre i luoghi della memoria e indaga un nuovo cammino con la consapevolezza che il tracciato è antico. Chi utilizza i linguaggi dell'arte sa di inoltrarsi in luoghi dove la libertà di indagine, l'uso disincantato del linguaggio ed il "fare" stesso diventano confini senza margine, dove tutto è apparentemente plausibile, ordinato; il nascosto si manifesta e la realtà ci cela .

Progettare un'immagine significa anche misurarsi con esperienze già sedimentate, significa spostare in modo corretto sulla scacchiera dell'ordinamento linguistico dell'arte quei valori che, se articolati con sapienza, si manifestano in nuove immagini.

E' in e questa dimensione che il "fare" è comunque la realtà della propria condizione, della propria scelta ed è l'unico riferimento sicuro che rimanga.

Scopri di aver avuto tanti padri nella pittura, tuttavia continui ad allacciare le fila di trame che diventano "percorsi" di conoscenza e di verità.

Anche se fare arte è agire in una dimensione senza certezze, senza verità consolidate: si è chiamati, quasi per magia, a ripetere operazioni, gesti e segni che raccontano da sempre l'operare dell'uomo.

E' nel rinnovarsi di questi valori, che ogni volta si inizia quel percorso che approderà all'immagine. La segnatura tracciata delimita e ordina lo spazio ponendosi in modo rigoroso: condizioni di struttura e di gabbia.

Successivamente, quasi a volerne azzerare il valore, si inserisce, sovrapponendosi, una campitura di ampie zone. Il colore colato diventa così allusione della fase iniziale del dipingere.

E' la volontà di segnare il tempo del fare pittorico, è la prima e arcaica operazione dell'improntare.

I segni e le forme si ordinano caricandosi di simboli.

Affiorano immagini e tracce di territori, di nuove geo-grafie, di ambiti: il costruito assurge a paesaggio, il reperto naturalistico si lega in modo indissolubile alla struttura. L'elemento dell'acqua, della fonte o del vaso-ventre si manifesta attraverso tracce e reperti: è immagine sedimentata dalla memoria e richiamata dalla visione.

Il segno dell'acqua diventa solco, vortice, groviglio nel tentativo di evocare il simbolo e il mistero della natura.

La pittura si manifesta sublimandosi o rivelando le incertezze. L'immagine rappresentata, alla fine, presenta se stessa e chi opera sa quanto ciò sia pieno di insidie.


1995 Seregno - Silva Arte

Recensione: Il Cittadino Monza e Brianza

"Oceano mare" di A: Baricco ha suggerito all'architetto pittore Antonio Triacca una serie di dipinti su tela di grandi dimensioni e di particolare valenza poetica...

Ma nessuno deve pensare di vedere illustrazioni del romanzo di A.Baricco, o il mare così come appare all'occhio, chiaramente leggibile, nel legame del naturalismo, dell'espressionismo e del ralismo, perchè Triacca ama ricercare le men battute vie della concettualità e della memoria, in una sintesi compositiva, che ricrea un'immagine poetica col segno gesto, con echi scanaviniani, armonizzati spazi di riposo in cui emorgono i segni della casa o le memorie di varie costruzioni, ridotte a fossoli che indicano essenziali manufatti umani. Volutamente aciutta è la materia pittorica, realizzata con larghe e rapide pennellate - la scala cormatica è ridotta a pochi colori, l'azzuro, il rosso col predominio del nero e del grigio. ai pochi spazi riposanti e statici si oppone un nervoso dinamismo gestuale e segnico, un poetico ondeggiare spigoloso d'ipotetiche onde, di poetici riflessi del mare più suggerito che espresso.


1997 Bovisio Masciago - Sala Mostre Palazzo Comunale


1998 Sesto San Giovanni - Galleria Auditorium Credito Cooperativo

Recensione critica: Roberta Dose

"Architetture del cosmo"

E' una mostra che non vuole piacere al primissimo impatto, che genera nel visitatore il senso di una scoperta graduale e poi sempre più necessario, allo stesso modo in cui, implicitamente, una persona che non conoscevamo ancora, ci guida , col tempo, negli strati del suo carattere unico, nelle leggi che governano le sue scelte, finendo per conquistarci e affezionarci a lei.

Carta, il carbonio, più povero, la grafite, un minimo velo cromatico di intonazione lievemente gialla, steso solo ogni tanto, forbici, un p' di scotch, il resto lo aggiunge la profondità estrosa di Antonio Triacca.

Sfilano davanti agli occhi visioni in bianco e nero che contengono la sua interessante sperimentazione del mondo, un mondo-spazio plasmato dal tempo, da minime trasformazioni che restituiscono, come in una tabella, forme nuove e diverse da quelle originarie.

I volumi e le ombre, le architetture e i particolari più infinitesimali, vengono indagati al microscopio e al telescopio. In un pannello cui è stata elargita una semplice tridimensionalità grazie ad applicazioni di carta, invisibilmente scotchata sul retro, seguiamo il percorso di una circonferenza, i suoi incontri silenziosi con il fondo, le sue evoluzioni luminose e le sue tenebre, e, magnetizzati dal suo mistero, la vediamo, al suo apice, suggerisce un'eclisse.


1998 Sala espositiva biblioteca di Macherio

Recensione critica: E. Resnati

"Di segno in segno"

...l'esposizione pubblica di quadri è il risultato di un complesso iter formativo, in particolare è l'occasione per verificare il lavoro fatto.
La pittura deve essere sincera; il visitatore deve cioè notare che dietro all'opera stessa c'è un certo percorso, uno studio. I colori che predilige sono quelli ad olio e l'uso della grafite; nella maggior parte dei quadri esposti si vede un paesaggio visto da lontano e uno da vicino; nel primo si contrappone la natura incontaminata con scorci di un paesaggio, da cui possono emergere una certa trasformazione; nel secondo l'osservazione può suscitare ad esempio un'impronta di una foglia caduta sulla sabbia.

Il titolo della rassegna "Di segno in segno" racchiude la tematica di fondo che lega le opere stesse, il segno emerge come aspetto preponderante e fondamentale: dalla semplice linea a poco a poco si concretizza un complesso di segni che alla fine formano l'oggetto o comunque ciò che si vuole rappresentare.


2000 Monza Villa Reale - Serrone

Recensione critica: Alberto Veca

Armadi delle meraviglie,  o della memoria, aperti allo sguardo che esplora perché di essi sono segnalati solo i dati essenziali dell'architettura, fra la verticale degli stipiti e l'orizzontale dei piani.: Come è noto la figura appartiene alla tradizione pittorica in quel particolare gusto secentesco di riprodurre in pittura un "particolare" dello studiolo di preziosi o di rarità, quasi a gara illusionistica con la realtà. Il punto di vista è equatoriale, spesso la superficie dipinta presenta margini che coincidono con gli stipiti del mobile: si arriva, come nel caso dello Scarabattolo attribuito a Domenico Rempes ora al museo dell'Opificio delle pietre dure di Firenze, a sagomare il telaio in funzione delle ante aperte.  Indipendentemente dall'intenzione illusionistica, il "ritratto" dell'armadio è in fondo un autoritratto che il pittore realizza utilizzando gli oggetti che arredano il suo studio o che sono presenti nella fantasia dell'artista e per la loro presenza disordinata sui piani d'appoggio del mobile. Oggetti d'uso ma anche "modelli" di pittura, frammenti che poi troveranno la loro collocazione definitiva sulla tela dipinta come corredo della figura umana sono allora prelevati come "campioni" significativi e riproposti come protagonisti.

Forse per interessi personali la visione diretta del ciclo di lavori che Antonio Triacca ha intitolato come Armoire, facendo diventare il titolo parte integrante della superficie plastica, mi ha immediatamente suggerito questo parallelo: d'altra parte la pittura di oggetti, di "natura morta" ha contratto nel corso del tempo una forte carica autobiografica, già presente nella pittura di genere delle origini, nel XVII secolo, sempre più evidenti nei cultori del tema in quello ventesimo appena trascorso, segnalando il valore dell'elezioni di un detereminato soggetto - fiore, pesce, bottiglia o conchiglia non importa - come propria figura espressiva da investigare e con cui dialogare.

L'osservazione può essere anche letta come forzatura interpretativa ma credo che Triacca abbia realizzato nel nucleo principale dell'esposizione, realizzato negli ultimi due anni, delle originali e attuali "nature morte", che oggi vuol dire un esercizio di selezione degli oggetti, o meglio il loro ritratto realizzato a diversi gradi di vero somiglianza, dall'evanescenza dell'ombra o dell'impronta al dettaglio puntuale, di esposizione in modo coerente su un piano d'appoggio, di "chiusura" infine di "oggetto e campo" in una architettura d'assieme altrettanto identificabile, appunto il nostro armoire...

Recensione critica: Sabrina Arosio

Gli armoire (armadi) della memorai Antonio Triacca in mostra al Serrone Piccolo fino al prossimo 26 novembre. Una personale di suggestione, che raccoglie opere dal 1998 al 2000 e che attestano gli ultimi esiti della ricerca dell'artista originario di Seregno.

L'esposizione parte da alcuni acquarelli dedicati ad ambienti costruiti che possono considerarsi preludio dell'analisi spaziale condotta poi nella serie degli armoire. In questi vincono l'effetto e le sciabolate di colore: tele a olio, di taglio grande (quasi tutte un metro per un metro e mezzo), dove ogni volta l'autore pone un brano di realtà quotidiana che lega il suo sentire alla memoria.

Cosi' lo spazio dell'ambiente, indagato dal solo cromatismo, è diviso in comparti, come la tela stessa che è cucita proprio in corrispondenza dei diversi piani, e in ciascuno di essi viene posto un elemento della vita comune, dal cibo alle scarpe, alla conchiglia ad alcuni oggetti che sono chiaro rimando a una situazione precisa del passato.

Non si tratta solo di immagini, però Triacca fa pittura di sintesi: accanto agli oggetti non mancano infatti le parti del corpo che rimandono ai cinque sensi, segno che la pittura di memoria non è solo ricordo mnemonico, asettico, ma processo che attiva interamente tutti i sensi: Il colore e la luce colpiscono la vista, ma l'insieme cattura anche il tatto, l'olfatto e il gusto.

La ricerca di Triacca approda alla relazione dell'uomo nell'ambiente, al suo interagire con la realtà. Questa prosegue nel corso del 2000, quando il pittore giunge alla figura umana con la serie "Fingo is...ere 2000" Dittici interessanti che riportano da un lato l'uomo in atto a riflettere su stesso, dall'altro una raffigurazione del suo pensiero, in un continuo dinamismo di linee e colori che in maniera chiara attestano il travaglio interiore del protgonista. In questi ultimi lavori è il tema della velocità, dell'emozione che viaggia all'interno del corpo, dal cuore al cervello e viceversa: ottimi i tratti rapidi, la pennellata che indaga, interroga, che vuole in tutti i modi scoprire.

Recensione critica: Myriam Polacco

L' Esagono - 20.11.2000

Armadi delle meraviglie è il titolo conferito in catalogo da Alberto Veca, curatore della mostra inaugurata nelle sale del Serrone della Villa Reale.

E' una denominazione di scelta felice appropriata al corpus e humus che ci introduce nel racconto poetico e pittorico dell'artista.

Una trentina di opere selezionate fra disegni, oli, acquerelli, recentissime che riescono a regalare allo spettatore una immediata adesione alla visione di bellezza che ci attornia e che talvolta, come in questo caso, senza vergogna, la pittura può fare lievitare, quale dono, a noi frettolosi protagonisti del nostro quotidiano.

Il bello Triacca lo vede e lo sente in mezzo alla "verdura", nei fiori, ma anche nel guizzare dei pesci, nelle uova, nelle conchiglie, nell'uomo. La mostra ha diversi livelli di lettura: vitalità del colore, rispetto alla ricerca precedente dell'artista: divisione dello spazio, cioè lavorare per episodi e si avverte inoltre un senso di unità circolare all'interno di questo ciclo che avvalora l'idea che il laboratorio, luogo ove nascono le opere, è una finestra sul mondo e che la mano è intelligente quanto il cuore.

C'è poi un dipinto grande, forte intitolato da Triacca "Fingo is...ere" Figurazione 2000 che ci conferma quanto Baudelaire ha scritto: "La donna è senza dubbio una luce, uno sguardo, un invito alla felicità, e talvolta un suono di una parola: ma sopra tutto è un'armonia generale". In sintesi come bene scrive Alberto Veca..."trattasi di una figurazione interrogativa, non tanto dal punto di vista del soggetto quanto da quello del linguaggio espressivo adottato in cui spazio illustrato e spazio mentale, vengono egualmente piegati alla logica del fare pittura. Anche per questo il lavoro di Triacca è in costante crescita e ci punge sul ruolo e sul senso dell'operare in pittura, oggi.


2001 Chiavenna - Palazzo Pretorio

Recensione Critica: Elena Riboldi

"Cose dipinte"

Nell'opera di Antonio Triacca, ambienti strutturati architettonicamente, grazie ad una serie di coordinate spaziali, sono contaminati dialetticamente da una ricca grammatica gestuale, legata al segno libero di matrice informale.

La nuova ricerca "Dove arriva il mare", "Cielo-tracce", "Figure-tracce", è stata generata da appunti desunti dalla visione diretta delle Valli di Comacchio:

Alla trascrizione sul campo del territorio è seguita un'analisi strutturale delle forze che governano il paesaggio, divenute elementi ordinatori della composizione.

La superficie plastica, terreno di confronto tra uno spazio costruito razionalmente e una pennellata libera, gestuale e non premeditata, è trasformata dall'artista in una sorta di arena, in cui sono tracciati o allusi elementi semantici, confini, soglie, figure, atti ad evocare la complessità dello spazio immaginato. Anche lo spazio vuoto, non dipinto partecipa al racconto fungendo da pausa e generando una sorta di soglia narrativa.

I luoghi descritti diventano pertanto "luoghi della memoria", in cui l'esigenza di narrare, si stempera nella necessità di evocare forme significative e durature...


2001 Seregno - circolo Culturale "Seregn de la Memoria"

Recensione critica: Roberto Galliani

Triacca ricompone in ordinate e preziose trame geometriche il flusso delle immagini e delle sensazioni sedimentate nella sua memoria: così accanto a squarci di paesaggio, oggetti della vita domestica, volti e profili cari, ritroviamo nella sua pittura la manifestazione di emozioni, di palpiti e di tutto quanto "segna" un animo sensibile e naturalmente pronto alla comunicazione pittorica.




2003 Castatenovo - Villa Facchi

Recensione Critica: Vincenzo Guarracino

"Rèveries"

Affiorano come su un sipario antico di colore: immagini del sogno e del desiderio, fantasmi della memoria. Moti dell'animo, ecco cosa sono, le forme che fioriscono sulla superficie delle opere di Antonio Triacca. Emozioni e fantasie che si inscrivono in un'impronta o in un reperto, in un profilo o in un paesaggio, emergendo con fiera agilità dalla viscosa e solida sostanza di linee e pigmenti distesi sulla viva pelle del supporto (carta o tela che sia) e trattenuti con pazienza e sapienza gestuale in rigorose campiture, veri e propri contenitori dell'esperienza, teatri dell'occhio e del pensiero a funzionamento allusivo: non hanno bisogno di corpo e, a dispetto di certi cartigli e inserti grafici, deputati a trasmetterci non di rado anche ironicamente attraverso la ridondanza della scrittura un surplus di informazioni e di senso, non danno corpo a una precisa realtà. Anche se la realtà, sotto forma di una scarpa, una conchiglia, una ciotola o che altro, pare a tratti di potervela riconoscere. Se mai, attengono al dominio di una pulsione. Al cuore che batte, alla mano che segna, al fremito che pulsa. Insomma a quell'essenziale domanda di luce, che si muove e grida dall'informe e oscura quiddità che li abita, che ci abita. Emblemi, simboli di arcaica pregnanza.
La loro funzione è quella essenzialmente di ri-cordare, di ri-dare cioè letteralmente proprio cuore ed anima, sangue e linfa, vita, insomma, alle cose cui alludono: come virgiliane umbrae tenues simulacraque luce carentum, ......


2005 Villasanta - Villa Camperio

"PROSPICERE"

  • Prospicere...
  • E' il guardare, lo scorgere.
  • Ma anche il guardare avanti, lontano.
  • E' lo stare in guardia, come di vedetta.
  • E' l'affacciarsi, l'avere una vista su qualcosa.
  • E' infine il prevedere dell'indovino, che dice il futuro, ma anche il provvedere, il procurare ...

La polisemia del termine offre già una chiave di lettura per queste opere di Antonio Triacca.

Lungi dall'essere elemento puramente decorativo, il titolo diventa cifra stilistica, emblema dell'eterno rincorrersi e congiungersi di parola e immagine che, altre volte, ha caratterizzato l'espressione pittorica di questo artista.

Un artista che intuisce, scorge, guarda, scruta attentamente l'orizzonte, la natura, il paesaggio.

Si immerge in esso, fino a farne intimamente parte, per poi risalire e portare alla luce, attraverso il gesto delle sue mani, la chiave che consente di entrare nel mistero della natura. E' quanto accade per le immagini della Valle dell'Also, dove il paesaggio è vissuto profondamente, è fatto di luce, colore, aria, ritagli di cielo azzurro e ritratto in una dimensione fortemente gestuale e plastica.

Il racconto di Triacca narra la natura. E' un cammino in cui si intrecciano sogno e realtà; è fitto di appunti, annotazioni che prendono progressivamente forma. La strada si costruisce passo dopo passo, immagine dopo immagine, si affolla di un repertorio folto ed eterogeneo di studi, disegni, carte che trovano una mirabile sintesi sulla tela, dove tutto e evidente ed essenziale...


2009 Desio - Villa Tittoni Traversi

Recensione critica: Salvatore Genovese

"Luogo del racconto"

Nel villaggio intellettuale intrapreso da un pittore - viaggio che insieme è concreto e psichico, affollato di immagini, di concetti, di segni e di colori - può accadere che alla raffigurazione e all'espressione, già a lungo frequentate, si sovrapponga il desiderio della narrazione e del racconto.
Anche in Antonio Triacca si è manifestato, da qualche anno, un desiderio analogo che lo ha portato a realizzare opere nelle quali la struttura e le presenze figurative si definiscono all'interno di una dimensione narrativa che però potrebbe non apparire così evidente perché priva di quegli espedienti (la sequenza, gli orientamenti spaziali, la reiterazione delle figure nel dipinto,...) che sono comunemente adottati per raccontare. In effetti negli ultimi dipinti di Triacca, più che ad una narrazione vera e propria si assiste ad un affacciarsi alla dimensione narrativa, a un porre le premesse da cui dipende lo svolgersi futuro del racconto, a una sorta di momento sorgivo del narrare.


2009 Sesto S. Giovanni - Centro culturale "Sergio Valmaggi"


2011 Viallasanta - Circolo Amici dell'Arte

Recensione critica: Claudia Sala

"La pittura abita nel cielo?"

Osservando alcune delle ultime opere di Antonio Triacca parrebbe di sì.

Pare proprio che le immagini dipinte siano sospese in un'atmosfera rarefatta e alta, da guardare con stupore e meraviglia "dal sotto in su". Ma subito, l'autore stesso sembra smentirsi, offrendoci una pittura "della terra", legata a uno stare dentro alla natura e ai suoi elementi in modo forte ed essenziale.

Non è un caso che le due facce di questa medaglia, cielo e terra, siano rese anche pittoricamente con due tecniche e due tavolozze differenti. Il lieve acquarello per la pittura che sta nel cielo e l'olio per la pittura della terra: Una colorazione quasi evanescente, con colature di colore per ciò che si libera nel cielo e un cromatismo più intenso e concreto per ciò che appartiene alla terra.

Il cielo e la terra. Tra cielo e terra, da sempre, l'uomo si muove, respira, vive e, in questi elementi primigeni, finisce per fondersi e riconoscersi. Non si avverte, però, nell'opera di Triacca, la proposta di una fusione panica nella natura, in cui prevalga l'elemento dionisiaco, irrazionale, scomposto. Si coglie, invece, la consapevolezza di riconoscersi, attraverso la forza della ragione ed il suo rigore, parte di un racconto straordinario di cui essere, ad un tempo, protagonista e narratore.

Le pitture che abitano il cielo ci parlano di una dimensione onirica, ma le immagini sono comunque inquadrate razionalmente entro dei limiti, dei margini, che riescono a dare unità ad un racconto che, però, è leggibile contemporaneamente come una serie di appunti; una sequenza di fotogrammi; di frammenti di "illuminazioni" suggestive; di apparizioni che si fanno a tratti impalpabili e immateriali e che portano verso il cielo.

In questa atmosfera rarefatta il corpo si trasfigura, a volte si scompone in una liquefazione di forme e colori che scivola verso il basso, verso una terra che appare vuota: pagina bianca che accoglie solo le stille di queste immagini sospese, di questi sogni che, forse, sono anche la vita.

Ma la terra non è vuota e, se la pittura abita nel cielo, l'uomo abita nella terra, ci sta proprio dentro e si nutre dell'eterno racconto della natura. Una natura in cui la realtà si intreccia al sogno, ma che mantiene la sua concretezza nella plasticità di un gesto pittorico di notevole potenza che si libera su campiture nette, definite, magre e ridotte alla pura essenza della materia pittorica, priva della pesantezza materica.

E' quasi una forma di scrittura questo gesto plastico, la cui istintualità si inquadra nella nitidezza di un disegno architettonico che dà razionalità alla narrazione e ad un linguaggio che ha un suo alfabeto, fatto di simboli in cui è racchiuso il rapporto eterno tra parola e immagine, tra natura e racconto.

In questo itinerario dalla terra al cielo e, nuovamente, dal cielo alla terra i due elementi si completano, dialogono e raccontano l'eterno viaggio dell'uomo.


2014 Macherio - Sala espositiva Corte del Cagnat

Recensione critica: Luigi Consonni

"Nonèdeltuttovero..."

Un riassunto di gioiose emozioni, è ciò che possiamo cogliere e gustare, nel lieto passeggiar fra le tele e le carte in mostra. Trovo nelle opere di Antonio Triacca una freschezza di liguaggio, che scaturisce dalla concretezza di una figurazione astratta, carica di ricordi anche sognati, che si manifestano in un linguaggio, immaginifico attraverso un dinamico e gestuale sviluppo del segno, che in crescere svela la sua forma finale.

Le figure, i paesaggi che ne scaturiscono ci appaiono così nella loro essenziale e sintetica semplicità, carichi di una emozionale vitalità.

Il suo dipingere svincolato dal limite della tela che usa volutamente priva di ogni telaio (senza confini), è però metodicamente concepito in un armonico equilibrio formale e cromatico, frutto di numerosi studi e disegni preparatori.

Interessante è la serie di volti, sempre essenziali nella sintetica sintesi formale, posti come un grande pubblico, quasi fosse un invito ad andare oltre a ciò che appare per coinvolgerci in una sensazionale circostanza di chi contemporaneamente osserva ed è osservato.


2018 - Seregno Galleria Ezio Mariani Opus Incertum

CON GLI OCCHI

La domanda che Baudelaire aveva posto a metà Ottocento: "Che cos'è la modernità?", è rimasta ancora l'interrogazione necessaria per ogni artista; non importa se poeta, pittore musicista, ecc., perché questa è la più grande assunzione di responsabilità che ognuno di loro deve, volente o nolente, accettare dopo che la stessa modernità ha attraversato tutti i confini possibili dei significati e delle forme. Giungendo con Duchamp,a vanificare l'idea stessa di opera d'arte tutte le proposte che le avanguardie storiche: cubismo, espressionismo, surrealismo, per citare solo le più importanti, hanno
tracciato, seguendo punti di non ritorno per quanto riguarda la possibilità di
svolgimento delle loro esplorazioni.


Tutte cose che Antonio Triacca conosce perfettamente, come pittore e come docente che da anni si è
fatto educatore dei desideri d'arte di molti allievi. Le opere, presenti in questa mostra, hanno però dato il via ad ulteriori considerazioni; in parte già supposte nei precedenti lavori e in parte imprevedibili nella loro "severità":
che parlano poco, (senza affidarsi ad un colore gridato o a qualche trovata provocatoria che oggi non possono che essere una delle tante forme di autopromozione), ma che dicono cose necessarie, affidando agli occhi, l'opera che ha acceso in Triacca la nostalgia di una realtà che è però tutta da ricomporre. Punto di partenza per comprendere lo sviluppo di questa mostra, vissuta attraverso una tavolozza che sembra quasi negare la necessità del colore, memoria della riuscita in negativo di un Sironi, per esempio, o la riduzione a schemi filiformi di un Giacometti, affidando al più fragile dei supporti, incredibile: la carta velina, la propria sfida nel tentativo di compensare, attraverso una certa incontrollabilità del rapporto tra la fragilità di questa carta e il colore portato dall'acqua che in realtà è l'elemento di una possibile distruzione, verificando l'amarezza di una condizione che non è solo artistica ma esistenziale. Nostalgia di una realtà che in questo momento gli riesce difficile da ricomporre e che richiede
tutta la sua disponibilità. Nelle opere precedenti resisteva ancora una "solarità" della natura (mi riferisco a Terre alte), qui
invece, lavora l'aspetto "notturno" della sua ricerca. E' l' inconscio che ha messo sul tavolo le proprie ragioni e i propri segreti timori di una realtà segreta ma non meno operante per ognuno di noi. Ecco allora il suo tentativo, non di cancellare le figure, ma invece quello di raduna nei frammenti, i "controluce" umani, per risistemarli in un possibile riconoscimento. L'uso della sineddoche, cioè la parte che rivela il tutto, è affidata agli occhi, che guardano e chiedono di essere guardati (d'altronde ogni opera pittorica non chiede che questo), troppo sinceri per esser solamente decorativi, dal momento che ancora troppi chiedono alla pittura di essere solamente "bella", di arredare convenientemente il salotto buono della loro casa. Lasciamo perdere! Qui invece siamo in presenza di una pedagogia dell'essenziale, di una severa geografia dei paesaggi, le marine, per esempio, che guardate con un po' più di attenzione, sembrano campi arati, confrontandosi con una bellezza che non si permette di essere solo tale. Triacca possiede la severità delle cose vere, non si assolve e non assolve, c'è lo "spavento" di Bacon e la "magra essenzialità" di Giacometti, non in forma epigonale, ma in forma di una medesima testimonianza, di colui che ha camminato un po' insieme a loro, per poi lasciarli perché il luogo dove doveva andare era un altro. Dove? Certo l'autore non lo comunica con le parole (sarebbe un abuso punibile con il disinteresse), ma lascia che sia la sua tavolozza e i suoi segni; che comprendono i suoi fantasmi e le sue simbologie segrete (anche se non c'è niente di più simbolico della realtà), e, paradossalmente, svelare la sua visione del mondo, tutta la carica dei suoi desideri, le piccole e grandi interrogazioni lasciate ancora in sospeso dal tempo e dalla storia. Può bastare? Se queste opere sono completamente annullate le simbologie della tradizione, attraverso una riscrittura a partenza zero dei significati, ma attuata solo per rilanciare
quella proposta d'arte; richiesta dalla nostra condizione storica che ha fatto della disillusione, o meglio, secondo in termine caro alla cultura barocca, del "desengano" (disinganno) il luogo da dove ripartire, accettando anche la più labile delle possibilità; quella dell'acquaragia "sporca".

Nel desiderio di concedere esistenza all'infimo, alla cosa da buttare, al rischioso richiamo che indica, per un pittore come Triacca, la vanità di una tessitura coloristica, cantante chissà quale felicità dei colori del mondo, indicativa di una caparbietà solo cromatica, che dopo averla inseguita per anni, ha rivelato tutta la sua insufficienza e improponibilità, rinunciando alla grazia spontanea del colore ma subito preoccupandosi di altre ragioni del dipingere. Nel suo fondo rimane la nostalgia della figura umana, sentendo continuamente la loro presenza, accusandole, a volte, di essere troppo esplicite. E questo è semplicemente dovuto al bisogno di una loro ri partecipazione per toglierle dal loro controluce, che non si dichiara nei particolari della loro presenza, sapendo però consegnare loro una prima ragione d'essere. Probabilmente l'aspetto più interessante di queste opere non è un atto di possibile cancellazione, ma "un Lazzaro vieni fuori ", perché c'è ancora tanta vita (pittorica) da vivere. I suoi colori non cedono alle lusinghe di un colorismo sui generis e non creano facili prospettive. Sanno benissimo la perdita "d'autorità" che una parte del momento attuale ha per loro stabilito. L'incontro con la modernità è avvenuto e ha lasciato poche illusioni, anche se Triacca, segretamente confida che altri mondi possono esistere (ed esistono), anche se non d'immediata percezione. Queste opere, che noi, per pigrizia mentale, continuiamo a chiamare quadri, sono le proiezioni di un autore che ha deciso di "ripartire da zero", dove, però, la partenza è il prodotto di una consapevolezza anche nei confronti dei suoi maestri che l'hanno
preceduto ed educato. Alcuni nomi sono già stati fatti, ma un altro ne possiamo aggiungere, quello di Sironi, con le sue periferie che non hanno avuto bisogno di troppi colori per essere dette. Un insieme di idee sull'arte che chiede al proprio spettatore una partecipazione attiva e non solo contemplativa, opere che richiedono la sua presenza per essere "completate"
attraverso l'inserimento delle sue esperienze. E Questo, bisogna dirlo in modo chiaro, è la più alta forma di rispetto per chi decide di seguire il lavoro di questo pittore. Quindi un partecipante integrativo e non passivo, cercando, come ha cercato l'autore, di comprendere la difficile figurazione del reale, realtà troppo detta che, alle volte, è solo una finzione della verità. D' altronde, un'opera d'arte non vive solo di se stessa, viene da qualcosa e va verso qualcosa d'altro, ottenendo, così, la propria ragione d'esistere, dentro una contemporaneità che ha smontato tante ragioni del colore e dei segni. C'è in Triacca il bisogno di affrancarsi dal troppo detto e dal troppo dipinto e contemporaneamente la volontà di possedere l'oltre-realtà, significata da un minimo uso del colore, quasi punendolo e quasi negandolo per provvedere alla sintesi di quella realtà dette (pittoricamente) e quelle sottintese (extra-pittoriche). Antonio conosce le trappole che potrebbero essere in atto, fingendo di non conoscere l'importanza di una sintesi tra pensiero e azione pittorica (spandere a caso sulla carta il colore avanzato), la voce che sistematicamente si racconta nell'atto del dipingere, che non è una favola a lieto fine, ma il bisogno del mondo che chiede di essere verificato e ricompensato. La prossima fermata (Next stop), ci farà arrivare proprio in questo posto, dove occhi interrogativi sono d lungo tempo in attesa, sacrificando il colore, come del resto avevano già proposto sia Picasso che Braque, decidendo di essere l'erede di una modernità che probabilmente, non ha ancora concluso il suo cammino, consumando così un'altra delle sue possibilità dentro una quasi cancellazione del colore come unico protagonista, o meglio, quasi una sua riduzione a fantasma di se stesso, sospettandolo forma di una nostalgia che, probabilmente, non mancherà, in futuro, di ridare i suoi frutti, portati da una nuova alba pronta a riconsegnarceli nuovi e innocenti. Oltretutto, in alcune opere di Triacca sono visibili tracce di un'idea altra del colore, sospendendo, per ora, le ragioni di una pittura "consolatoria". Non sarà un ritorno, ma semplicemente un andare oltre richiesto dalla sua stessa ricerca. Del resto anche Duchamp, si dice, dopo la distruzione totale dell'idea dell'opera d'arte attraverso i suoi ready-made, stava cercando qualcosa che ricomponesse in un nuovo senso il lavoro dell'arte. E questa è la cosa più importante che la contemporaneità ci ha lasciato, proponendo una conciliazione tra i valori artistici del passato e, in pari modo, scrutare quello di cui ha bisogno il futuro. Gli occhi che guardano e che desiderano essere guardati, sono l'opera meno dissolta all'interno di tutti questi lavori, convinti che bisognava rinunciare ad un facile colorismo
fauve, ma non per questo meno disponibili ad una loro significativa presenza.

Piero Marelli


2022 SPAZIO ESPOSITIVO CITTA' DI CLUSONE (BERGAMO) 

 NELLE PIEGHE DELL'ARTE

Presentazione dell'autore stesso: Antonio Triacca

UN PERCORSO

"Nelle pieghe dell'arte" e "Hortus conclusus" sono i titoli che appaiono in alcuni miei ultimi lavori. Sono indicazioni e sottolineano il mio interesse per alcuni temi che ho approfondito figurativamente. Sono anche il pretesto per indagare e trovare immagini da raccontare nel percorso personale del mio lavoro.

"Nelle pieghe dell'arte" c'è il tentativo di recuperare un linguaggio pittorico che personalmente sento ancora attuale e contiguo alle esperienze delle avanguardie: il gesto, la pennellata libera, il colore, la forma aperta, i contrasti, ovvero tutte le forme linguistiche che caratterizzano la pittura nella sua forma tradizionale e aperta per certi indici alle esperienze contemporanee.

E' proprio in questo percorso che ritengo utile, personalmente, indagare e approfondire i temi specifici del fare arte e sviluppare ipotesi di cultura visiva. Ovvero di realizzare forme e immagini che racchiudano un mondo sensibile ed emotivo. Immagini che siano motivo di indagine conoscitiva e riescano ad evocare realtà e visioni. Forme e figure dove collocare il nostro immaginario e lo sguardo in una sensazione di scoperta e di ricordo. Immagini che possano portare alla memoria percorsi visivi antichi ed emozioni di elementi che sono patrimonio dell'arte.

Emozionare, fermare il tempo, osservare e guardare con occhi privi di sovrastrutture e, come affermavano i "Maestri" portare alla luce l'invisibile.

"Hortus conclusus" ovvero il "Giardino segreto" c'è il tentativo di raffigurare i temi e gli argomenti figurativi che ho indagato in diversi momenti del mio lavoro. Sono icone riproposte e custodite nella memoria e fatte rivivere in una nuova luce. In fondo sono temi che la storia della pittura ha sempre raccontato e che personalmente ritengo utile rivisitare e misurarmi con il tempo.

Consapevole di quanto sia difficoltoso questo percorso, diventa per me anche un motivo di approfondimento storico e una possibile strada per proseguire nel territorio e nel panorama dell'arte figurativa.

Antonio Triacca

2023 VILLA GHIRLANDA Cinisello Balsamo (Milano) 

NELLE PIEGHE DELL' IMMAGINE

Presentazione: Sindaco di Cinisello Balsamo Giacomo Giovanni Ghilardi                                                                                         e Assessore alla cultura Daniela Maggi

Il legame tra Cinisello Balsamo e l'arte passa anche dalle opere di artisti come Antonio Triacca, un grande sperimentatore, il cui talento si esprime attraverso i diversi materiali e le tecniche utilizzate per arrivare a un'arte nuova, che mira ad accogliere e coinvolgere lo spettatore con la sua capacità emozionale, 

Triacca, classe 1951, approda nella prestigiosa cornice di Villa Ghirlanda Silva in occasione di Ville Aperte. E' la sua venticinquesima esposizione in occasione della quale torna a raccontare il suo concetto di arte, la magia dell'immagine, la sua forza espressiva e il linguaggio della rappresentazione, così come la pittura quale via per evocare emozioni. La sua cifra stilistica è il segno espresso attraverso il colore, il pennello, la grafite o il carboncino, il suo modo di indagare le forme.

Qui sono raccolte 37 tra le sue opere più significative, quelle di un pittore, architetto, insegnante di arte poliedrico che nella sua carriera si è espresso anche in vetrate, mosaici, affreschi e incisioni. Un'occasione preziosa per scoprire e apprezzarne la genialità.

Recensione critica: Prof.ssa Patrizia Crippa 

Il respiro della forma

Il titolo di questa presentazione mi è stato suggerito da un testo dello stesso artista risalente a quasi due decenni fa. Parlava di un paesaggio non propriamente pittoresco che lui attraversava in macchina per motivi di lavoro ogni mattina: il paesaggio di una periferia urbana.

Erano immagini "vissute dall'abitacolo della vettura", immagini "subite", che colpivano il nervo ottico nella totale indifferenza di una coscienza estetica. Si accorse, allora, di quanto "guardare" un paesaggio possa essere esclusivamente un fenomeno ottico, e quanto possa essere difficile trasformare la visione in un fenomeno estetico. Capì che si trattava di una "negazione" del paesaggio, di una sua riduzione, e nacque in lui l'interesse a far nascere, da quella negazione, una creazione, una rappresentazione estetica.

E' così che può nascere un'opera d'arte. Triacca dice che, di fronte a quelle immagini dapprima "subite", nasceva il bisogno di recuperare "una visione più mentale e al contempo romantica del soggetto in questione". Anche Bacon diceva che da alcune macchie sulla tela (che lui chiamava diagramma) nasceva l'immagine, che sì, nasceva dal caso, ma non doveva essere assolutamente casuale. Al contrario importante era l'intervento del controllo mentale sulla forma. Sensazione e mente, passività e attività, memoria e invenzione, passato e futuro sembrano essere gli ingredienti di ogni visione d'artista.

Dall'autore: Antonio Triacca

"Cosa stiamo guardando?"

"Nelle pieghe dell'immagine"

C'è il tentativo di recuperare un linguaggio pittorico che personalmente sento ancora attuale e contiguo alle esperienze delle avanguardie: il gesto, la pennellata libera, il colore, la forma aperta, i contrasti, ovvero tutte le forme linguistiche che caratterizzano la pittura nella sua forma tradizionale e aperta per certi indici alle esperienze contemporanee. E' proprio in questo percorso che ritengo utile, personalmente, indagare e approfondire i temi specifici del fare arte e sviluppare ipotesi di cultura visiva. Ovvero di realizzare forme e immagini che racchiudono un mondo sensibile ed emotivo.

Immagini che siano motivo di indagine conoscitiva e riescono ad evocare realtà e visioni. Forme e figure dove collocare il nostro immaginario e lo sguardo in una sensazione di scoperta e di ricordo. Immagini che possono portare alla memoria percorsi visivi antichi ed emozioni di elementi che sono patrimonio dell'arte.

Emozionare, fermare il tempo, osservare e guardare con occhi privi di sovrastrutture e, come affermavano i "Maestri" portare alla luce l'invisibile.